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RABARAMA ESPONE NUOVAMENTE LE SUE OPERE IN ORIENTE

ART CITY - JINAN

Art City, in Cina l'arte parla italiano

Inaugurato a Jinan lo spazio espositivo creato da Vincenzo Sanfo

di Fiorella Minervino

Jinan (Cina)

Inter-rotta
Diabolica-mente
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan
Art City Jinan

All’arrivo nella nuova stazione XI di Jinan, città con 5 milioni e mezzo di abitanti nella regione dello Shandong, a 400 km da Pechino, si è subito sorpresi dalla vasta piazza che riceve i visitatori: al centro il teatro, tutt’intorno i curiosi edifici modellati come sculture, uno inalbera la scritta rossa «Art City».  

 

È uno spazio di 20.000 mq suddiviso su tre piani, di cui 13.000 per esposizione, destinato all’arte occidentale e africana. Un centro culturale a formula mista, a mezza via fra museo e galleria d’arte, che il governo cinese ha affidato al suo ideatore e direttore, il piemontese Vincenzo Sanfo. Si parla di un costo di decine di milioni di dollari, vi partecipano peraltro 12 importanti banche cinesi.  

 

Art City è stata inaugurata l’altra sera con un evento fantasmagorico fra luci, balletti e un concerto di Al Bano e del pianista piemontese Massimiliano Genot, alla presenza di 1500 invitati, un evento ideato anche per festeggiare i 70 anni di Sanfo, che da lunghi anni organizza mostre, manifestazioni, scambi fra Italia e Cina, e che un tempo dirigeva i cataloghi d’arte Bompiani.  

 

Progettato nell’allestimentodall’architetto torinese Piero Carcerano, il centro ospita fra i pannelli scorrevoli 700 opere, di cui 200 saranno in vendita e a rotazione ogni anno, la scelta è vasta: sono dipinti, sculture, installazioni, antiquariato, mobili, vasi, poltrone, piatti, come dire dalle maioliche e porcellane di Deruta del 1500 o le zuppiere di Doccia del ’700 al boudoir francese 1700, dai Leonardeschi a Picasso, Dalì, fino a Bartolini e Sandro Chia, oltre al sagace tavolino di Fornasetti 1950, decorato a strumenti musicali, non manca una rassegna della pittura italiana meno nota fine ’800 primi ’900; le opere sono in prestito da gallerie, musei, collezionisti privati per il prossimo anno, mentre il Museo perenne è in fase di allestimento , un’apposita commissione ne sceglierà’ i prossime esemplari . Per ora fanno bella mostra di sé dipinti della scuola veneta, dei Guardi, Tiepolo, poi seguono Bonnard, 80 lavori di Warhol, Miro, Picasso, con un’antologica al femminile, sfilano Sonia Delaunay, Dora Maar, Francoise Gilot, la Bourgeois.  

 

Non è tutto, si costituisce un laboratorio fisso di restauro, con pure specialisti da Pompei. Inoltre è’ in via di formazione un database, con tutti gli archivi internazionali. A piano terra invece il bookshop offre sia l’artigianato locale sia quello legato a istituzioni straniere, per ora hanno aderito il Guggenheim e la Reunion des Mus’eses de France. All’interno lavorano 160 persone fra conservatori, amministrativi, custodi, uscieri. Le opere proposte dai prestatori peraltro non sono sottoposte a dogana.  

 

«È un atto di fiducia del governo cinese verso l’Italia e l’Occidente - spiega Vincenzo Sanfo - l’ho pensato come un grande deposito di arte, un luogo culturale dove la Cina troverà la maggior quantità di arte occidentale, un ponte fra i paesi, un concentrato stabile di lavori che saranno di arte europea, ma pure delle due Americhe e Africa ; ho scelto il titolo “1416 -2016”, cioè 600 anni d’arte occidentale dal Rinascimento ai nostri giorni, da Marco Polo a oggi, per sottolineare i legami fra il nostro Paese e la Cina, era il mio sogno da tanti anni, ora si è avverato». 

 

Una formula mista di pubblico e privato, in pratica un luogo inedito che si propone al crescente collezionismo cinese del XXI secolo, Vincenzo Sanfo lo paragona a un bambino appena nato, forse un po’ goffo, ma destinato a crescere e svilupparsi in breve tempo, come ogni cosa in Cina e come hanno augurato i numerosi direttori di musei intervenuti, fra i quali Zhang Zikang del Museo Nazionale di Pechino e altri preposti alle istituzioni pubbliche. Il tutto fra gli applausi di stampa e televisioni e in attesa dei collezionisti che le banche hanno promesso di convogliare rapidamente. Sarà forse questo il collezionismo globale della nostra epoca, magari in grado di calamitare gli ingenti capitali cinesi a favore dei meravigliosi, ma sofferenti musei italiani e delle numerose gallerie in affanno.

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